Il nero dei papaveri rossi

A cura di Barbara Borgatti
Il nero, ingiustamente relegato a scenografia, a secondo piano di una storia, può ergersi a protagonista. Non pecca di vanitá, ma con la sua silente umiltà porta in palmo di mano gli oggetti più pesanti,come gli oggetti più impalpabili. Grazie a lui un soggetto acquista la sua identità e il suo ruolo storico narrativo.

In questa interpretazione, da vero signore, il nero incornicia e accarezza i petali di un racconto. Se guardiamo, diversamente dal “vedere”, notiamo uno sfondo che il nero ci rende noto esser sfocato, più impercettibile e apparentemente meno importante, di quanto sia in realtà. Davanti a noi abbiamo invece dei petali illuminati nella loro fragilità.

È un papavero solitario, girato di tre quarti,che sta voltando le spalle ad un suo simile che rappresenta “gli altri” in quanto diversi da se stesso. Sono comunque forti e coraggiosi entrambi, come chi si mette a nudo senza uno stelo che lo sostenga. Si mostrano così questi papaveri: sono se stessi. Nascono in un campo,circondati da caduti, eppure resistono eleganti e stropicciati. Vincono una scommessa che nessuno avrebbe mai accolto.

Allora riflettiamo… sono diversi, siamo diversi, o siamo simili? Al lettore-visivo di questo racconto, cogliere una personale interpretazione del finale: il papavero ha il capo chino per una solitudine che percepisce o che esiste? In fondo, cosa è la solitudine se non assenza?

Qui però, fisicamente, viene espresso visivamente una pluralità: due e non uno.

Allora chi sbaglia? Il lettore e l’autore, o i soggetti che interpretano se stessi?

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