Quei km sbagliati di un fotografo paesaggista

Premessa
La fotografia di paesaggio richiede pianificazione per poter raccogliere il miglior risultato possibile e per me i dati da incrociare prima di un’uscita sono:
– posizione geografica
– previsioni meteo
– esposizione solare
– strade per raggiungere il luogo
– tempi di permanenza
– variabili eventuali

Partire con le migliori intenzioni
Per la recente uscita alla spiaggia di Boccasette avevo considerato e studiato tutti i punti dell’elenco, ma nella variabile non avevo dato troppo peso alla nebbia (pur avendola prevista) in quanto in riva al mare l’aria tende sempre a spostarla nell’entroterra.
O quasi sempre.

Il Delta del Po è qualcosa di unico e meraviglioso, ti riporta indietro nel tempo e le strade che si percorrono ti fanno capire quanto siano diversi i paesaggi a non più di 90 minuti di auto, inoltre per arrivare alla spiaggia di Boccasette si attraversa una parte del Parco.

Il luogo
Una volta parcheggiato, attraversai il ponte di legno e capii subito che la variabile nebbia era forse oltre i miei calcoli poiché non c’era vento, ma restai fiducioso che si potesse alzare in riva man mano che passavano le ore.

Così mi incamminai: mi attendeva una passeggiata di 3km in riva ad un mare quasi piatto, accompagnato solo dai gabbiani fermi sulla linea della bassa marea in cerca di qualche mollusco.
A destra, ad una trentina di metri, decine di rami e alberi strappati alle coste durante le tempeste, oltre ancora sterpaglie fino alla riva opposta poco lontana; davanti, dietro e sopra di me un muro di niente.

In quel momento ricordai che non c’erano altre auto al parcheggio, ero solo nella spiaggia e nemmeno visibile a occhio nudo. Segni di passaggi umani sulla sabbia, probabilmente del mattino, mi lasciavano intuire che, prima o poi, qualcuno sarebbe anche passato nel caso mi fosse accaduto qualcosa.

Fortunatamente non sono uno che si fa prendere dal panico e questo pensiero svanì alla stessa velocità del paesaggio circostante.

Il telefono comunque prendeva: Google Maps mi indicava la mia posizione esatta in quella lingua di sabbia ai confini della pianura padana (che continuavo a non vedere) ed era l’unico modo per capire quanto procedevo e se davvero sarei mai arrivato in fondo.

Ma più andavo avanti e più avevo la sensazione che non avrei trovato molto da fotografare.
Vedevo solo boe giganti arenate, alternate da tronchi, alghe, conchiglie e rifiuti che il mare aveva restituito al suo più grande nemico.
Ancora passi e vedevo altre bottiglie, scarpe, pezzi di plastica alternate ancora ad alghe e conchiglie; a destra più in là altri tronchi e ramaglie, a sinistra a volte nemmeno più i gabbiani. La nebbia non mi permetteva di vedere altro e mi guardai indietro pensando fosse meglio rientrare.
Ma dietro era come davanti: 100 metri scarsi di visibilità e poi il nulla.
Mi prese un po’ di nervoso: pensavo al tempo che stavo perdendo con una delle peggiori condizioni meteo e che stavo sprecando una giornata buona per fare foto se avessi scelto una meta diversa.

Con l’aiuto della mappa del satellite provai a raggiungere anche l’altra riva per cercare delle inquadrature da fotografare, ma nulla; anzi, forse avrei trovato solo guai tra sterpaglie scivolose e arbusti poco amichevoli.

Di nuovo tornai quindi sulla sponda est con un continuo ripetersi di niente, ritmato dal suono quasi inesistente delle onde, attutito ulteriormente dalla nebbia.
Sembrava di essere intrappolato in un sogno, qualcosa di irreale: camminare senza riferimenti visivi è come camminare nel buio assoluto o da bendati.

La meta
Finalmente, in fondo, dopo una lunghissima ora, comparve qualcosa: il piccolo argine di massi che delimitava la fine dell’area, non più alto di un paio di metri, largo forse 6 e con una Madonnina dipinta in una piccola struttura in legno rivolta al percorso per raggiungere quel punto.
Purtroppo però nemmeno lì vidi molto altro, se non l’insenatura con i suoi canneti che rompevano a fatica l’unico colore di quella giornata: il grigio della nebbia.
Mi riposai un po’ prima di provare a scattare qualche foto, sopra a dei massi che si muovevano ricordandomi così di stare attento a non scivolare a 3km a piedi dal parcheggio.

Scattai poi 3 foto di numero, ma niente da fare: polarizzatore, filtri a lastra e lunghe esposizioni non producevano nulla se non ulteriore grigio attorno a me.

La resa
A quel punto della mia escursione volevo solo rientrare.
Ci pensai un attimo e poi ripartii verso l’auto: sapevo bene qual’era il punto di arrivo questa volta e mentre camminavo cercavo con gli occhi riferimenti incrociati all’andata.
Si ripresentavano gli stessi soggetti e cercavo di immaginare da dove arrivassero quei rifiuti, quei rami e quelle boe, immaginavo le condizioni e le situazioni, senza risposta però.

Di nuovo a tratti ricompariva il canto de gabbiani, che ora nemmeno vedevo: la marea si era abbassata ancora e spariva nella nebbia e con lei il deposito di molluschi.

Il lato positivo
Mentre camminavo questa volta mi sentivo più rilassato e pensavo che la tensione dell’andata era forse la naturale conseguenza dei ritmi a cui siamo abituati, alla velocità degli acquisti, delle app, del tempo; sottostare invece passivamente a una condizione neutra e lontana da tutto è qualcosa che non riusciamo più a vivere né a immaginare.

Una passeggiata in solitaria in riva al mare con la nebbia può forse sembrare la cosa più inutile del mondo poiché manca il sole, l’aria, le onde e il loro rumore, ma se si ha un po’ di coraggio si potrebbe riuscire a raggiungere il proprio vuoto e addirittura superarlo.

Il link al Parco Regionale del Delta del Po:
www.parcodeltapo.org

Post più recenti